Berlusconi: espulso
9 Nov 2011 | Di Giuseppe | Categoria: Le pagellinePensoso, con lo sguardo torvo, assente nell’aula dei suoi trascorsi trionfi: l’ispiratore di “Meno male che Silvio c’è” sembra un turista giunto al termine della sua vacanza più bella. L’uomo, che pochi giorni fa aveva dichiarato di non essere mai stato bocciato ad un esame in vita sua, viene ora espulso con l’accusa di inettitudine. L’imprenditore che ha saputo trasformare in oro le sue frequentazioni politiche, che con il suo Milan ha conquistato tutti i trofei possibili, che si è proposto come il miglior presidente del consiglio dall’unità d’Italia, che è riuscito a regalarsi una tv digitale a costo zero (prima distribuendo i decoder a spese dello Stato per creare un pubblico e poi facendosi donare le frequenze su cui trasmettere, frequenze che all’estero sono state pagate miliardi di euro), ora è solo.
Persino i più fedeli maggiordomi lo stanno scaricando. Perfino i topi che per primi sono corsi in soccorso del vincitore adesso sono l’avanguardia della fuga. Chissà se la stessa voglia di allontanarsi non stia contagiando le olgettine, costringendo all’astinenza il premier dalla virilità idraulica (intesa in senso stretto, poiché deve avvalersi di artifici, dopo un intervento di asportazione totale della prostata).
L’idolo delle folle è costretto ad origliare i discorsi dei capi di stato europei, che lo scansano perché considerato cafone e poco credibile con le sue promesse da marinaio di piccolo cabotaggio. Il fantasma del leader, che quando spunta una telecamera alza le mani in segno di saluto verso presunte folle osannanti, ha due alternative: o abbandonare tutto come il suo ex sodale Craxi, oppure trasformarsi nel “caro leader”, come si fa chiamare il dittatore nordcoreano Kim Jong Il, despota di una nazione così dedita all’autarchia da essere costretta a morire di fame pur di dotare di armi atomiche il grande capo.
Certo, per uno che proviene dai lustrini della tv è dura adattarsi alla claque stracciona, dopo essersi inebriato con i cori da stadio. Ma, d’altronde, si sa che i giganti di creta hanno vita breve. Berlusconi ha trasformato tutto in apparenza, a partire dalle promesse roboanti mai mantenute, dai giuramenti sulla testa dei figli che si saranno dotati di caschi in kevlar (la stessa materia dei giubbotti antiproiettile), dal piazzismo sempre più becero alimentato da barzellette e da scuse infantili sempre pronte che oltraggiano l’intelligenza. Anzi, egli stesso si è tramutato in apparenza, truccato e rifatto come una vecchia maitresse incapace di accettare le rughe e la naturale legge del tempo. Da imprenditore scattante, è divenuto uno stagionato playboy di ragazze a pagamento; da magliaro con la battuta in tasca, è scaduto a statua di cera col sorriso imbalsamato dal botox. Avvezzo ad essere adulato da cortigiani di alto rango, è finito a farsi corteggiare dalla suburra dei pappagalli, di coloro che scodinzolano con il fido Fede e si informano col lezioso Signorini, che assentono alla propaganda di Augusto Minzolini (“Oh, uno che arriva a dirigere il Tg1 dovrà per forza essere bravo… no?”) ed ossequiano la corpulenza culturale di Giuliano Ferrara tanto agile nel saltare da un carro all’altro, che seguono in tv il cerimoniere Bruno Vespa e ne leggono i libri-noccioline.
Passare da una reggia sfavillante ad una corte dei miracoli non deve essere stato facile per un ambizioso come Silvio, che tutto voleva conquistare ed assai poco si ritrova in mano. Non ha amici senza portafoglio ed è costretto ad elogiarsi, da solo, per non deprimere il suo ego ciclopico. Le sue aziende volavano col vento della politica in poppa, ma la flotta ora rischia di incagliarsi nelle secche del Pdl. Si è proposto come pater familias felice e sereno, facendosi ritrarre in mille pose per le sue riviste; però, per trovare calore e compagnia, alla fine si è dovuto rivolgere a sensali bisognosi di quattrini. Il teatro di cartapesta gli sta crollando addosso, mentre un coro di papere gli starnazza attorno, in attesa che abbandoni la scena per rubargli la recita.
Se in questi giorni non apparisse come un Nerone inebetito di fronte ad un Paese in cenere, se ne potrebbe provare compassione, un sentimento che mai e poi mai egli avrebbe sospettato di suscitare. Lo si potrebbe vedere come un vecchio Arlecchino a secco di repertorio, ingrigito, immiserito dai suoi interessi. Se la sua astuzia non venisse pagata dalle lacrime di povera gente, gli si potrebbe concedere l’indulgenza riservata a chi ha scarsa consapevolezza dei propri limiti. Ma non è così: il re vuole restare sul trono, pronto a far crollare il palazzo senza essere un Sansone, ma solo un Topo Gigio condannato dai fatti e dalla storia, dalle stesse parole che ha elargito con maestria senza concretizzarle in fatti.
Per lui, nessun voto, perché in nessuna scuola entrerebbe per imparare: si dirigerebbe d’istinto verso la cattedra, pur non avendo alcunché da insegnare. Un uomo senza voto che non lascia un vuoto; ecco, per siglare la sua uscita, basterebbe questo giochino di parole, esile e senza gloria. Per il premier, per il campione dell’Italia peggiore, nessun rinvio a settembre. Per lui, solo la compagnia dell’amico Umberto che, di duro, ha soltanto la testa. Per lui, solo l’espulsione. Prima possibile, per la meta più lontana possibile.
Mai vista una simile concentrazione di banalità e retorica. Frasi o fatterelli sentiti dire e riportati in modo sbagliato perché molto probabilmente non capiti, non saputi leggere, ascoltati al Bar dei cacciatori dove vince chi la spara più grossa. Poveretto pensa di saper scrivere ed invece non sa neanche leggere !
Perché prendersela? Purtroppo, in democrazia, anche gli stolti hanno diritto di parola.
P.s. Visto che è così attento, dopo “Poveretto” (vocativo), avrebbe dovuto mettere la virgola.
Poveretto non e’ vocativo ma aggettivo qualificativo.
Se sa leggere, le sarà di aiuto per il prossimo commento: http://it.wikipedia.org/wiki/Complemento_di_vocazione.