Berlusconi vittima di un esproprio?
5 Ott 2009 | Di Giuseppe | Categoria: In primo piano, In primo piano: noteNicola Porro, vicedirettore de Il Giornale di proprietà della famiglia Berlusconi, titola così un suo articolo: “I giudici espropriano Berlusconi” (cliccare qui per leggere l’articolo). Il pezzo si riferisce al fatto che la Fininvest è stata condannata in primo grado a pagare 750 milioni di euro alla Cir di Carlo De Benedetti (la somma è pari a circa 1.500 miliardi delle vecchie lire). La sentenza, emessa dal Tribunale civile di Milano e attesa da mesi per la fine di settembre, è esecutiva e ciò significa che i soldi vanno versati nel giro di pochi giorni. A Porro, ha fatto eco il centro-destra che, per bocca di Fabrizio Cicchitto (capogruppo del Pdl alla Camera), sembra intenzionato a promuovere una manifestazione di piazza contro le “manovre di palazzo”, mentre Berlusconi afferma “Vogliono aggredire il mio patrimonio”, come si legge ancora su Il Giornale.
Perché questo salasso? Perché anni fa ci fu una battaglia per il controllo della Mondadori. A contendersi il grosso gruppo editoriale erano la Fininvest di Berlusconi, la Cir di De Benedetti (attuale editore del gruppo L’Espresso-Repubblica), gli eredi di Arnoldo Mondadori (i Formenton). Per risolvere la disputa, i tre gruppi decisero di affidarsi ad un collegio arbitrale, cioè al giudizio di terzi (una soluzione a cui ricorrono spesso le società per evitare le lungaggini della giustizia civile) che avrebbero stabilito chi aveva ragione. In un secondo momento, la vertenza approdò alla magistratura ordinaria.
Queste le fasi della vicenda, tratte da Wikipedia che ne fa un esauriente riassunto.
Antefatti
A metà degli anni Ottanta, Silvio Berlusconi acquisisce quote sempre più consistenti della Mondadori, rimanendo tuttavia un socio di minoranza. Nel 1988 acquista le azioni di Leonardo Mondadori e dichiara che da quel momento in poi prenderà un ruolo di primo piano nella gestione della società editoriale. Con l’acquisto delle azioni di Leonardo Mondadori, la Arnoldo Mondadori Editore risulta in mano a tre soggetti: la Fininvest di Silvio Berlusconi, la CIR di Carlo De Benedetti e la famiglia Formenton (gli eredi di Arnoldo Mondadori). Carlo De Benedetti non approva l’idea di Berlusconi di amministrare personalmente la società e corre ai ripari stipulando un’alleanza con la famiglia Formenton; in pratica, De Benedetti riesce a convincere i Formenton a sostenerlo e a vendergli le azioni dell’azienda entro il 30 gennaio 1991.
Nel novembre 1989 la famiglia Formenton cambia radicalmente idea e si schiera dalla parte di Berlusconi, consentendo al proprietario della Fininvest di insediarsi come nuovo presidente della compagnia il 25 gennaio 1990; De Benedetti protesta, forte dell’accordo scritto stabilito pochi mesi prima con i Formenton. Ma i vari schieramenti non trovano un accordo soddisfacente per tutti e decidono quindi, unanimemente, di ricorrere ad un lodo arbitrale (il famoso “lodo Mondadori”).
L’arbitrato
Viene quindi organizzato l’arbitrato; chiamato a decidere è un collegio di tre arbitri, scelti di comune accordo da De Benedetti, dai Formenton e dalla Corte di Cassazione. Il 20 giugno 1990 si ha il primo verdetto: l’accordo tra De Benedetti ed i Formenton è ancora valido a tutti gli effetti e le azioni Mondadori devono tornare alla CIR. Come conseguenza immediata di questo verdetto, Silvio Berlusconi lascia la presidenza di Mondadori, seguito dai suoi dirigenti che vengono rimpiazzati da quelli dell’ingegner De Benedetti (Carlo Caracciolo, Antonio Coppi e Corrado Passera).
In Tribunale
Berlusconi ed i Formenton tuttavia non gettano la spugna ed impugnano il lodo arbitrale davanti alla Corte di Appello di Roma, la quale stabilisce che ad occuparsi del caso sarà la I sezione civile. La I sezione civile è presieduta da Arnaldo Valente ed il giudice relatore è Vittorio Metta. Il 14 gennaio del 1991 si chiude la camera di consiglio e la sentenza viene depositata e resa pubblica il 24 gennaio, cioè 10 giorni dopo. La sentenza annulla il precedente verdetto del lodo arbitrale e consegna nuovamente le azioni della Mondadori in mano alla Fininvest di Berlusconi.
L’intervento politico
Nonostante il successo giudiziario, le cose si complicano per Berlusconi quando i direttori e i dipendenti di alcuni giornali si ribellano al suo nuovo proprietario; nella vicenda interviene l’allora presidente del consiglio, Giulio Andreotti, che convoca le parti e le invita a trovare un accordo di transazione: è così che la Repubblica, L’Espresso ed alcuni giornali periodici locali tornano alla CIR, mentre Panorama, Epoca e tutto il resto della Mondadori restano alla Fininvest, che riceve anche 365 miliardi di lire (pari a 175 milioni di euro) come conguaglio.
Il Processo
Nel 1995, in seguito ad alcune dichiarazioni di Stefania Ariosto, la magistratura cominciò ad indagare sulla genuinità della sentenza. Stefania Ariosto dichiarò che il giudice Arnaldo Valente ed il giudice Vittorio Metta erano amici intimi di Cesare Previti e frequentavano la sua casa. Inoltre, la Ariosto testimoniò di aver sentito Previti parlare di tangenti a giudici romani. Il pool di giudici milanesi si mise in moto e riuscì a rintracciare dei sospetti movimenti di denaro che, partiti dalla Fininvest, finivano nei conti esteri degli avvocati della stessa Fininvest e da questi al giudice Metta.
Il 14 febbraio 1991 una società off-shore di Berlusconi, chiamata All Iberian, emette un bonifico di 2.732.868 dollari americani (circa 3 miliardi di lire italiane) a favore del conto Mercier di Cesare Previti, il 26 febbraio; un altro bonifico di 1 miliardo e mezzo (metà della provvista) a favore del conto Careliza Trade di Acampora. Questi fa un bonifico di 425 milioni a Previti il 1º ottobre, e Previti li storna in due operazioni (11 e 16 ottobre) sul conto di Pacifico. Quest’ultimo preleva 400 milioni di lire in contanti il 15 e il 17 ottobre e li fa recapitare in Italia ad un misterioso destinatario: secondo l’accusa, è il giudice Vittorio Metta, il quale nei mesi successivi dimostra una liquidità incredibile (acquista e ristruttura un appartamento e compra una nuova auto), utilizzando soprattutto denaro contante di provenienza imprecisata (circa 400 milioni). Poi si dimette dalla magistratura, diventa avvocato e va a lavorare con la figlia Sabrina nello studio Previti.
Sentenza della Cassazione
La vicenda giudiziaria si conclude in Corte di cassazione nel 2007, con la seguente sentenza definitiva: gli avvocati Previti, Pacifico ed Acampora sono condannati ad 1 anno e 6 mesi di reclusione; il giudice Metta a 2 anni e 8 mesi di reclusione. Le condanne vanno aggiunte in continuazione con quelle del processo Imi-Sir, ormai diventate definitive. Il reato commesso fu quello di “corruzione in atti giudiziari”. In pratica, la sentenza favorevole alla Finivest fu comprata.
A seguito di questa condanna penale in Cassazione, Carlo De Benedetti chiese di essere risarcito per il danno subìto: con le sue operazioni avrebbe potuto creare il primo gruppo editoriale italiano su carta stampata, ma la condotta illecita dei 4 condannati gli impedì di realizzare il suo progetto. La somma chiesta da De Benedetti fu di 1 miliardo di euro, pari a circa 2.000 miliardi di vecchie lire.
Per il comune cittadino si tratta di somme stratosferiche che, tuttavia, cessano di essere tali se si pensa al valore di un settimanale come Panorama, oppure ai guadagni che società di queste dimensioni possono produrre in un solo anno (centinaia di miliardi). Un polo editoriale costituito dai settimanali Espresso e Panorama, da quotidiani come Repubblica e come quelli dell’attuale Finegil (una estesa catena di giornali locali), dai mensili Mondadori e dalla sua divisione libri avrebbe cambiato il panorama dell’informazione italiana, consentendo – a livello industriale – notevoli sinergie ed economie di scala (in pratica, molte spese avrebbero potute essere fatte solo una volta a vantaggio dell’intera catena di testate).