Bossi, ‘o paisa’ lumbard
14 Ott 2011 | Di Giuseppe | Categoria: OpinioniC’è chi insegue l’obiettivo per tutta una vita senza mai raggiungerlo, c’è chi lo sogna, chi lo invidia, chi tenta di agguantarlo a suon di milioni ingaggiando esperti di immagine e comunicazione, chi lo rifiuta perché vuole rappresentare una parte di Paese in cerca di indipendenza. Quella a cui si è assistito durante il discorso di Berlusconi alla Camera, il 13 ottobre 2011, è la rappresentazione di un trionfo non voluto e di una nemesi storica. Il protagonista è stato Umberto Bossi, condannato dai suoi 12 sbadigli a diventare l’emblema dell’Italia, di quella Italia tutta da cui vorrebbe sganciarsi con la sua Padania.
Mentre il premier proclamava le solite frasi ad alto tasso di colesterolo – ad esempio, “Non parlo della giustizia per amor di patria”, sebbene ne dica di tutti i colori ogni giorno, oppure l’invettiva contro coloro che denigrano la nazione, mentre lui ha perfino avvicinato Obama per raccontargli del colpo di stato compiuto dalla magistratura – il leader dei lumbard spalancava le fauci ed a poco serviva la mano davanti alla bocca per nascondere una noia che esplodeva come l’Etna: quasi uno sbadiglio al minuto, dodici in totale, a scandire il discorso del presidente, una noia contro cui nulla hanno potuto una amorevole pacca del Berlusca ed il braccio allungato dal ministro degli esteri Frattini, abituato ad essere azzimato come un parrucchiere per signore alla moda ed a sapere che oltre confine c’è sempre qualcuno che ci guarda in tv e scuote la testa.
Bossi, la cui canottiera bianca fa rima con quelle dei pescatori di Pantelleria, è assurto ad emblema e voce della “rottura” nazionale. Il Paese è stufo di ascoltare litanie, slogan, promesse non mantenute, attacchi di convenienza alla giustizia; l’Italia non è così scema – non tutta, almeno – da non sapere che il governo sostenuto da Bossi non sa che pesci prendere, che si regge solo sulla propaganda e sui voti di fiducia (un escamotage per tarpare il dibattito parlamentare), che poggia su una maggioranza alimentata da poltrone, prebende e chissà che altro (soldi?).
Il santone della Lega è stato sincero con il suo linguaggio corporale: nonostante i giuramenti di fedeltà che garantiscono lo scranno a parlamentari come Scilipoti e simili, qualche angolo della sua mente irredentista si ribella e dice “basta”.
Più tardi, durante il Tg3 di mezzanotte, Daniela Santa(nché) ha gridato tutta la sua indignazione ripetendo “Vergogna, vergogna, vergogna!”, canonica esortazione di chi non ha argomenti. L’indignazione, però, non era diretta al ministro del fervente Nord per l’atteggiamento assai poco istituzionale, ma a chi lo criticava per avere offerto uno spettacolo desolante. “E’ una persona malata. Vergogna!”, ha martellato il sottosegretario coi tacchi a spillo, non eletta dal popolo ma nominata vice ministro da Berlusconi. Tanto furore, però, suonava stonato: non solo perché si fa fatica ad immaginare la Santa(nché) in veste da crocerossina o con una rigorosa morale, quanto perché la noia di Bossi ha unificato gli italiani, è stata il megafono di un fastidio che non conosce confini regionali.
Certo – qui sta la nemesi – è un po’ singolare che proprio Bossi, il secessionista ad oltranza, si faccia portavoce pure del Sud, che assuma il comportamento di un napoletano sotto il sole di Ferragosto durante l’ora della pennichella, oppure di un fruttivendolo pugliese seduto su una cassetta di legno in attesa di qualche acquirente per sbarcare il lunario alla bell’e meglio.
Volente o nolente, l’Umbertone padano si è fatto spalla ideale dell’Albertone nazionale del film “La grande guerra”, in cui Sordi interpretava un romano indolente e furbetto.
In fondo, però, di che ci si dovrebbe stupire? E’ così strano che il leader della Lega preferirebbe farsi un bel sonno invece che ascoltare il sodale di Arcore mentre racconta le sue barzellette in Parlamento?
Il Nord non è più quello di una volta, diciamolo. Non è più quello che brulicava di meridionali emigrati o importati (chissà quanti, al Nord, sanno che esistevano “caporali” assoldati dalle aziende settentrionali per reclutare manodopera da pagare poco, un “tot” a decine o centinaia di braccia per le fabbriche), che vedeva nascere il primo capitalismo del Paese, che bruciava tonnellate di carbone acquistato in Belgio a prezzo di favore perché scambiato – anche in questo caso – con manovalanza a buon mercato, soprattutto terrona.
No, oggi il Nord è diverso. E’ un territorio dove un malato – a detta della Santa(nché) – fa il ministro, mentre al Sud può aspirare al massimo ad una indennità di accompagnamento da poche centinaia di euro.
Dove un ingegnere accetta il dicastero alla giustizia (Castelli) e poco dopo inizia ad impartire lezioni di diritto a destra e manca, mentre al Sud dovrebbe acquistare un biglietto aereo per trovare lavoro in Germania o negli Stati Uniti.
Dove un chirurgo (Calderoli) prima firma una norma ammazza-democrazia, cioè l’attuale legge elettorale che delega ai capi-partito la scelta degli “eletti”, e poi decide di rimettere ordine nella selva di leggi e leggine dello Stato perdendosi per strada (chi si è accorto della semplificazione normativa faccia domanda in Vaticano per convalidare il miracolo); al Sud starebbe in qualche Pronto Soccorso scalcinato, dove affiderebbe il compito di compilare le “carte” a qualche infermiera più sveglia delle altre.
Dove ad un ragazzo di 20 anni, bocciato per tre volte di fila agli esami di maturità nonostante gli “incoraggiamenti” del papà, viene affidato l’incarico di consigliere regionale a 10.000 euro al mese; al Sud lo deriderebbero (incivilmente) chiamandolo “ciuccio” e potrebbe aspirare ad un precariato in pianta stabile (se fortunato), oppure ad un lavoro stagionale nella raccolta dei pomodori (se volenteroso), oppure diverrebbe un “ciondolo” da bar che fissa la strada e mangia ghiaccioli comprati con la pensione della nonna.
Dove una cubista (?) per feste private viene spedita in Regione, attizzando con l’iperbolico seno gli umori scaduti di qualche politico in andropausa, mentre al Sud starebbe – forse – sul ciglio di una strada.
Il Nord non è più quello di una volta, in continuo fermento, ma l’area che detiene il primato delle pensioni di anzianità (due terzi del totale) e quello del minor numero di nascite e che dovrà sperare nel buon cuore degli immigrati – gli stessi da cacciare dalle città – se non vorrà portare la previdenza al collasso, svuotando i borsellini dei 70enni. Il Sud si tiene ben stretto il primato delle pensioni di invalidità, è vero, ma come si fa a condannare i meridionali per i loro miseri vitalizi se poi una persona “malata” – sempre stando alle accorate parole della piemontese Santa(nché) – arriva addirittura a governare il Paese, sbadigliando a più non posso alla Camera perché preferirebbe dormire o farsi una partitina a carte?
Bossi si rassegni e ne tragga profitto: dopo il tenero show dello sbadiglio di unità nazionale, è lui l’Italiano vero.
Simme tutt’ ‘e Napule, paisa’.