Fini: Non mi dimetto. 4
19 Ott 2012 | Di Giuseppe | Categoria: Le pagellineSe un vero uomo è colui che dice quel che fa e fa quel che dice, al momento Fini non rientra nella categoria e pare dimostrare di essere uno delle migliaia di zombies affetti dalla sindrome del sedere che non si stacca e resta incollato alla poltrona.
In questi giorni di disgusto civile, le sue dimissioni da presidente della Camera dei Deputati si sarebbero trasformate in un tesoretto politico da spendere proficuamente alle prossime elezioni.
Ma come? Alessandro Sallusti trasuda una bulimica fame di martirio e non vede l’ora di farsi qualche ora di carcere – benché la pena inflittagli per diffamazione sia stata comminata in modo lineare, corretto e legittimo – e la terza carica dello stato perde l’occasione di fare un elegante passo indietro per poi trionfare qualora la magistratura accertasse la sua onestà? Chissà se si rende conto dell’occasione che la cronaca gli serve su un piatto d’argento.
La Destra degli onesti avrebbe finalmente un rappresentante nelle istituzioni e non resterebbe relegata nell’orfanotrofio delle pie intenzioni, dove deambula smarrita da decenni.
Mentre il Pdl viene percepito quasi come una associazione a delinquere, smascherato dai continui scandali;
mentre il consiglio regionale della Lombardia può vantare il primato del 20% dei consiglieri indagati (16 su 80), scalzando qualunque altro consesso del Paese;
mentre Formigoni si abbarbica nel suo empireo fatto di fede esibita e di frequentazioni nascoste, di voti di povertà e di vacanze da nababbo, nonostante amici e nemici reclamino la sua partenza dal Pirellone;
mentre l’unica voce che strepita nel centro-destra fittizio del Pdl è quella di Daniela Garnero in Santanchè, di cui nessuno ricorda una qualche investitura popolare, ipotizzando che la sua ascesa sia iniziata dai suoi vezzosi tacchi a spillo ed in essa si sostanzi;
mentre Berlusconi annaspa in acque agitate da ninfette che, dalle alcove del bunga bunga, lo hanno condotto in tribunale ed all’estero le schiave di Gheddafi lo additano come uno degli occidentali di rango invitati ai festini del rais libico;
mentre la sinistra si trastulla con le rottamazioni e gli sconti promozionali, dibattendosi in una crisi di identità adolescenziale, con brontosauri che divengono amici dei tirannosauri combattuti fino al giorno precedente e con un giovane di belle speranze che ambisce a divenire leader col carisma di Tin Tin (o anche di Rin Tin Tin);
mentre Beppe Grillo ha raschiato il barile delle sue battute e si lancia in imprese sportive che producono l’unico risultato di scimmiottare il Mussolini più caricaturale;
mentre Monti, Passera, Fornero, Profumo e tecnici in panchina perpetuano gli stilemi berlusconiani dando 10 con una mano e prendendo 20 con l’altra, nonché annunciando da mesi riforme che non si faranno;
mentre Vendola, a “Piazza Pulita”, contesta il folle acquisto per 16 miliardi di euro dell’ultimo modello di caccia-bombardiere che l’Italia non userà mai e di cui forse non potrà nemmeno garantire la manutenzione, dimenticando che i contratti – purtroppo, in questo caso – vanno onorati anche se a firmarli è stato un ministro della difesa come Ignazio La Russa;
…che cosa fa il Fini di cui tutti ricordano la granitica affermazione: “se la casa di Montecarlo è realmente di mio cognato Giancarlo Tulliani, sono pronto a dimettermi subito”? Come da tradizione, assicura: “Non mi dimetto”.
Una decina di giorni fa, intervistato da Lilli Gruber durante la rubrica “Otto e mezzo”, il leader di Fli (Futuro e Libertà) sfidò pubblicamente Silvio Berlusconi definendolo un “corruttore” ed invitandolo a querelarlo, in modo da sbugiardare l’uomo di Arcore in tribunale. Adesso, è lui che rischia di finire sul banco degli imputati con l’accusa di retromarcia di comodo.
Se in una fase di crisi come questa – in cui il risentimento verso gli amministratori ed i politici in genere cresce di giorno in giorno – il delfino di Giorgio Almirante avesse detto “Sono un uomo coerente ed ho una sola parola; ecco le mie dimissioni”, sarebbe stato applaudito ed in futuro avrebbe intascato un consenso che l’attuale peso-zanzara del Fli nemmeno sogna, poiché resta inchiodato nei sondaggi a percentuali inferiori al 5%.
Fini è stato il primo ad intuire che il Pdl sarebbe franato scandalo dopo scandalo, che la Lega aveva tante coscienze sporche dietro alla facciata linda e pinta, che la risposta da dare all’elettorato era la più ovvia e cioè quella del “rigore morale”, che la base della Destra avrebbe finito per fermentare e ripudiare il matrimonio contro-natura con il Pdl (infatti, fra gli ex An stanno affiorando i piani di liste civiche per vivere da separati in casa, in modo da salvare almeno un monolocale prima dello sfratto elettorale). Eppure, ora, alla probabile resa dei conti, dopo che il settimanale L’Espresso ha pubblicato i documenti con cui si mette alle corde il cognato Tulliani, Fini spranga la porta e si rifiuta di uscire dal castello della politica nazionale, dove convive con una pessima compagnia formata in buona parte da collusi, corrotti, concussi e ciarlatani.
Rimaneggiando i versi di Gozzano, gli si potrebbero mettere in bocca queste considerazioni: dimentico i proclami che io volsi, i fatti che potevano essere e non sono stati. Anche per Giafranco Fini, le parole si sono rivelate troppe e prive del coraggio – oltre che della lungimiranza politica – di metterle in pratica.
Avanti il prossimo. Fra numeri e nomi, non sembra esserci più alcuna differenza.
P.s. Fini ha definito i documenti pubblicati dal settimanale L’Espresso come le ennesime falsità. La sensazione, invece, è che essi siano autentici.
Qualora le notizie si dimostrassero false, artefatte ed abilmente indotte, prima di scusarsi con l’ex segretario di Alleanza Nazionale, ci si dovrebbe interrogare sui responsabili di tale macchinazione, troppo sofisticata per non suscitare allarme e preoccupazione.
Paradossalmente, chi tiene alla democrazia deve augurarsi che, perlomeno stavolta, il marcio sia reale e non imbastito ad arte. Altrimenti, l’indignazione dovrebbe lasciare spazio alla paura. Quella vera.