«Il ministro Profumo si dimetta»
18 Ott 2012 | Di Giuseppe Aragno | Categoria: OpinioniNon banalizzare il bastone e la carota di Profumo
E’ inutile tirare a campare e fingere di non capire. Ormai c’è davvero di che preoccuparsi. Di recente a Genova, pochi giorni dopo le violente cariche contro gli studenti e alla vigilia di una manifestazione nazionale della scuola, il ministro Profumo non ha esitato ad affermare che “il Paese va allenato.
Dobbiamo usare un po’ di bastone e un po’ di carota e qualche volta dobbiamo utilizzare un po’ di più il bastone e un po’ meno la carota. In altri momenti bisogna dare più carote, ma mai troppe“.
Bisogna che il ministro l’abbia chiaro: non ci fa paura. Chi ogni giorno, per passione civile, prima ancora che per dovere professionale, nelle scuole e nelle università, forma coscienze critiche, non muterà rotta per approdare a rinnovate barbarie. Ci fa da bussola un imperativo etico e abbiamo una stella polare: denunciare con fermezza i rischi sempre più evidenti che corre la democrazia. Se è passato in fabbrica, con Marchionne, l’allenamento che ha in mente Profumo deve restare fuori dalle aule, rifiutato da docenti decisi a difendere le radici profonde della storia repubblicana e dei suoi autentici valori. Bisogna tornare all’antifascismo, alla grande lezione di Don Milani e trovare il “coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani per cui l’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni“.
Fa male doverlo dire, ma è così: in un Paese in cui la Costituzione è ormai cartastraccia, il triviale mussolinismo di Profumo che resuscita il manganello non solo illumina di luce sinistra il crescente squadrismo delle forze dell’ordine, ma fa il paio con la “dottrina Monti” sul governo che educa un Parlamento disegnato sul modello dalla Camera dei Fasci e delle Corporazioni.
Di fronte alla sfida di nuove tecnologie e ai rischi di un soffocamento del servizio pubblico, Arfé, acuto osservatore e inascoltata Cassandra, invano propose all’europarlamento un progetto di “spazio europeo” comune e di rimodulazione del sistema di informazione pubblico-privato. Non se ne fece nulla e sulle televisioni purtroppo non c’è più da contare. In quanto alla carta stampata, se dovesse chiudere il Manifesto – ma si sta coraggiosamente tentando di impedirlo – ci toccherà rimettere mano al ciclostile.
Attenti a non banalizzare. Il “bastone e la carota” di Profumo non sono lo scivolone d’un dilettante e bisogna riconoscerlo: guardarono lontano Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, padri dell’Unione Europea uccisa nella culla, quando individuarono nel grande capitale, “che ha uomini e quadri adusati al comando” il vero nemico dell’Europa dei popoli. A leggerlo oggi, il monito appare non solo incredibilmente lucido, ma attuale e inquietante: “nel grave momento, essi scrissero, infatti, sapranno presentarsi ben camuffati. Si proclameranno amanti della pace, della libertà, del benessere generale delle classi più povere. Già nel passato abbiamo visto come si siano insinuati dentro i movimenti popolari e li abbiano paralizzati, deviati convertiti nel preciso contrario. Senza dubbio saranno la forza più pericolosa con cui si dovrà fare i conti“. Sono trascorsi molti decenni, è vero, ma hanno avuto ragione. L’antifascismo, che molto lottò per un’Europa libera, è ormai uno dei tanti clandestini nella memoria storica e nella realtà quotidiana dell’Italia europea voluta dai neoliberisti.
Sarò felice se i fatti si incaricheranno di smentirmi, ma non sarebbe saggio fingere d’ignorarlo: qui da noi, le gravi crisi del capitale finanziario sono diventate sempre e anzitutto crisi di una già storicamente fragile democrazia.
Giuseppe Aragno
* Giuseppe Aragno è docente di Storia Contemporanea all’Università “Federico II” di Napoli. Nel 1995 un suo saggio ha vinto il premio Laterza. E’ anche autore di racconti e di poesie. Oltre a testi di storia, ha pubblicato la raccolta di liriche “E però scrive”, edita da Intra Moenia. Il suo blog: http://giuseppearagno.wordpress.com/
Qui sotto, si riporta l’articolo pubblicato su “Il Manifesto” il 10 ottobre scorso, con cui i promotori della richiesta di dimissioni del ministro Profumo spiegano le loro ragioni.
Perché chiediamo le dimissioni di Profumo
Inizia la raccolta delle firme contro il ministro e la sua controriforma. Per cambiare si muove il mondo della scuola dell’università e delle famiglie.
Quasi un anno di governo è sufficiente per giudicare l’operato del ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Francesco Profumo. Tutte le sue scelte confermano che egli è l’esecutore testamentario della legge Gelmini, vale a dire il prosecutore del più distruttivo attacco alle strutture della scuola e dell’università pubbliche mai realizzato nella storia della repubblica. Egli stesso ha dichiarato che tutte le sue iniziative sarebbero state realizzate «con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi e maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Ma è andato anche oltre. Egli continua a bloccare i concorsi universitari (sottobanco diminuisce la dotazione finanziaria per la loro applicazione), ha imposto nuovi tagli agli enti di ricerca, ha accresciuto il finanziamento alle scuole private, deliberato la possibilità di aumentare le tasse degli studenti universitari, ha prorogato i rettori in carica, al potere da decenni. Ma fa di peggio, perché sta fornendo all’opera di distruzione delle strutture della formazione un’ideologia ingannevole, quella che ha trovato espressione nel termine “merito”: che ovviamente è, in sé, criterio serio, rispondente alle aspettative di giustizia di tutti noi.
Tuttavia il merito, per il ministro, è quello che inizia a essere valutabile a partire dall’anno del suo avvento. Così nel recente bando di concorso per la scuola, le abilitazioni, i risultati di concorso, le specializzazioni (conseguiti nel passato dagli insegnanti), non hanno più alcun valore e i docenti devono essere di nuovo giudicati da chi oggi ne stabilisce i criteri a proprio arbitrio. Gli stessi titoli dei docenti universitari vengono valutati secondo parametri stabiliti quest’anno dall’Anvur, un organismo di nomina oscura, che in base a criteri privi di riscontro stabilisce che cosa è scientifico e cosa no, imponendo una classificazione delle sedi di pubblicazione delle riviste e case editrici, di 10 o 20 anni fa, sulla base di scelte arbitrarie e inaccettabili.
Nel frattempo, come mostrano i recentissimi dati dell’ Ocse, l’Italia precipita agli ultimi posti fra i paesi industrializzati per spese all’istruzione e per risultati. Il numero dei laureati/e cala ancora rispetto alla media europea, le immatricolazioni continuano a diminuire (meno 10% lo scorso anno). Le condizioni materiali della scuola pubblica sono degradate da aule sovraffollate, organici insufficienti, servizi inadeguati, edifici vecchi, quando non pericolanti. Come si risponde a questo quadro drammatico sotto la guida di Profumo? Alla Camera si sta tentando di trasformare in legge la cosiddetta “proposta Aprea”, che riduce gli organi collegiali e avvia una privatizzazione camuffata della scuola pubblica. Nel frattempo, ad inizio di anno accademico, si innalzano le tasse e aumentano gli sbarramenti all’ingresso nell’università dei nostri ragazzi/e con quiz cervellotici indegni di un Paese civile.
Occorre finalmente alzare lo sguardo e afferrare l’ampiezza e la radicalità della distruzione oggi in atto. L’ideologia del merito serve solo a disconoscere la formazione, la competenza già conseguita da milioni di giovani a cui non si è in grado di offrire una prospettiva di lavoro all’altezza degli studi compiuti. Essa serve a nascondere la responsabilità di una classe dirigente che negli ultimi 20 anni ha messo nell’angolo ben due generazioni di giovani studiosi. Tutti gli sbarramenti posti davanti ai ragazzi/e che vogliono avanzare negli studi e nella ricerca servono a camuffare una drammatica disoccupazione intellettuale di massa e farla percepire, da chi ne è vittima, come incapacità personale e mancanza di merito. Noi diciamo basta a questo gigantesco inganno. E diciamo basta al declino programmato dell’Italia, spinta verso la periferia del mondo.
Noi chiediamo le dimissioni di Profumo, uomo di copertura ideologica, che continua e persegue con l’inganno pubblicitario delle sue trovate la politica di demolizione dell’istruzione pubblica di massa intrapresa dal governo Berlusconi. La violenza della polizia contro le manifestazioni studentesche di questi giorni conferma una continuità politica che occorre spezzare.
Chiediamo il superamento totale del numero chiuso all’università; la chiusura dell’Anvur per manifesta incapacità di assolvere il suo compito. Chiediamo invece il ruolo unico della docenza universitaria con progressione di carriera basata sulla verifica scientifica dei risultati. Le procedure per l’idoneità alla docenza devono svolgersi al più presto secondo seri criteri di valutazione e senza automatismi. Chiediamo la revoca immediata del bando di concorso per gli insegnanti della scuola e il rispetto dei diritti acquisiti nel passato.
Chiediamo inoltre stanziamenti adeguati e immediati per borse di studio nella scuola e nell’università, per i dottorati e per assegni post-dottorato: un aiuto concreto e un segnale di incoraggiamento per migliaia di giovani ora privati di ogni prospettiva dignitosa. Dalla crisi si esce anche con lo slancio e la volontà della nostra gioventù.
Chiediamo un adeguamento delle risorse finanziarie destinate a scuola e università almeno a livello della media dei Paesi dell’Ocse. A chi dice che non ci sono i soldi rispondiamo che i soldi ci sono per le scuole private e cattoliche – in spregio alla Costituzione – ci sono, in abbondanza e senza valutazione, per l’Istituto Italiano di Tecnologia, creato dal governo Berlusconi, ci sono per grandi opere dannose come il sottopasso di Firenze, ci sono – oltre 60 milioni al mese – per la guerra in Afghanistan, ci sono per gli sperperi di un ceto politico predone che dissangua il Paese. Secondo il Sole 24ore del 21 settembre, se i docenti che svolgono attività professionali venissero pagati in regime di tempo definito, e non di tempo pieno come oggi, si risparmierebbero almeno 500 miliardi. «Non ci sono i soldi» è un ritornello per farci accettare la privatizzazione strisciante del sistema formativo. In realtà, il bilancio dello stato è oggi territorio di scorrerie di poteri e clientele, fonte di disuguaglianze e iniquità. I soldi ci sono per chi fa la voce grossa. Facciamo sentire la nostra.
Nell’approssimarsi di un momento cruciale della politica italiana, chiederemo a chi si candida a governare l’Italia, a tutte le forze democratiche, l’impegno ad abolire le legge Gelmini e ad avviare una riforma dell’università ispirata alla Carta di Roma1, al Quadrifoglio per l’Università2, del Documento per l’Università bene comune, dei Sette punti fondamentali dei DP4.
Tutte le associazioni e le realtà firmatarie di questo appello si costituiscono come forza stabile organizzata con l’intento di coinvolgere docenti, ricercatori, gli studenti e le loro famiglie. Esse non avanzano rivendicazioni settoriali. Rimettere al centro della vita nazionale il ruolo della ricerca e della formazione è la strada inaggirabile per sfuggire al declino del Paese. La gioventù colta è la nuova élite che deve risollevare le sorti dell’Italia.
Raccogliamo le firme in rete, (www.amigi.org o altri siti) ma anche davanti alle scuole e alle università. Chiediamo ospitalità al nostro appello presso i banchetti dove si raccolgono le firme per i referendum contro la demolizione dello Statuto dei lavoratori. Facciamo del nostro movimento un interlocutore nazionale che dialoga permanentemente con i governi della repubblica.
“L’Università che vogliamo”, “CoNPAss”, “Università bene comune”, “Alternativa”, “Fuoriregistro”, “Forum Insegnanti”, “Il tetto”.
Piero Bevilacqua, Angelo D’Orsi, Tonino Perna, Maurizio Matteuzzi, Giorgio Tassinari, Giuseppe Aragno, Francesco Aqueci, Laura Corradi, Francesco Coniglione, Alberto Lucarelli, Saverio Luzzi, Ugo Olivieri, Maria Rosaria Marelli, Raul Mordenti, Giorgio Pagano, Valeria Pinto, Francesco Pitocco, Enzo Scandurra, Patrizia Ferri, Fabio Minazzi, Alessandra Ciattini, Fabio Bentivoglio, Michele Maggino, Roberto Renzetti, Andrea Bagni, Domenico Rizzuti.