Il mio nome è Bond, EuroBond

7 Dic 2010 | Di | Categoria: In primo piano, In primo piano: note

Giulio Tremonti in versione James BondPoiché il mondo della finanza è popolato da avvoltoi, la cui natura è vigliacca, i grandi speculatori attaccano i soggetti più deboli. Nel Consiglio europeo siedono Paesi forti (cioè ricchi) e Paesi deboli (cioè meno ricchi). Ognuno di loro ha fatto debiti per finanziare le sue attività. In rapporto ai guadagni annuali (cioè in relazione al Pil, Prodotto Interno Lordo), c’è chi ne ha fatti tanti come l’Italia e chi ne ha fatti pochi come la Germania (e la Spagna). Per l’Italia, il rapporto è del 118%; per la Germania è del 73,2% (fonte); per la Spagna è del 55,2% (fonte).

La crisi finanziaria globale è stata una tempesta per i conti pubblici, facendo lievitare il deficit, cioè il rapporto fra le spese ed i guadagni annuali delle nazioni. In Spagna, ad esempio, il deficit nel 2009 è stato dell’ 11,2% (fonte), mentre l’Italia ha stretto i cordoni della borsa e lo ha mantenuto intorno al 5%. Siamo stati bravi, ma la speculazione vola sulle nostre teste ed il Belpaese deve trascinarsi dietro il fardello dei debiti accumulati nel corso del tempo, pesante quanto una montagna: ogni anno esso succhia quasi 80 miliardi di euro per il solo pagamento degli interessi (*).

Altri Paesi sono stati più bravi di noi. La Germania, pur trovandosi in una situazione invidiabile, per fronteggiare la crisi ha varato una manovra da 80 miliardi di euro fino al 2014, con tagli alla spesa per 11,2 miliardi nel solo 2011 (e investimenti per 13 miliardi nel settore dell’istruzione e della ricerca), con l’obiettivo di portare il deficit sotto al 3% annuo (fonte). E’ quindi naturale che i Paesi più virtuosi siano anche quelli più forti e maggiormente in grado di onorare le proprie obbligazioni. Di conseguenza, il loro livello di affidabilità è alto ed il prezzo (cioè gli interessi) che devono pagare per piazzare i titoli del debito pubblico è basso.

Per l’Italia e per altre nazioni “spendaccione” non è così. Se in Grecia è (o era) legale che le figlie nubili o divorziate di un ex dipendente statale continuino a percepire il vitalizio anche dopo il decesso del padre (circa 1.000 euro al mese, fonte), è inevitabile che le casse pubbliche ne soffrano e che gli interessi da pagare sulle obbligazioni di Stato schizzino in alto.

Data la brutta aria che tira nelle zone periferiche di Eurolandia, il ministro Tremonti ha avuto una idea geniale: perché non fare quadrato per evitare che gli avvoltoi assalgano i singoli Paesi nutrendosi dei loro buoni del tesoro? perché non riunire tutte le emissioni sotto una sola sigla ed emettere Bond, anzi, EuroBond, garantiti da una agenzia di difesa europea (EDA)? La genialata – non nuova – è stata proposta tramite un articolo pubblicato sul Financial Times del 6 dicembre 2010 e firmato dal ministro italiano e dal presidente dell’Eurogruppo, il premier lussemburghese Jean-Claude Juncker. I due sollecitavano una Agenzia europea del debito, da varare la prossima settimana nel Consiglio dei capi di Stato a Bruxelles; l’obiettivo sarebbe stato quello di emettere progressivamente titoli, fino al 40% del Pil dell’Ue e dei singoli Stati (fonte).

La risposta di Angela Merkel, cancelliere tedesco, è stata secca: “il livello dei tassi rappresenta un elemento importante per realizzare gli obiettivi del patto di stabilità“; inoltre, “gli Eurobond non permetterebbero la concorrenza tra i tassi di interesse sui bond nazionali” (fonte). In pratica, la Merkel ha detto: rispettate i patti di stabilità, cioè i limiti di spesa; fate sacrifici e stringete la cinghia per rafforzare le finanze pubbliche. E poi – particolare importante – ha fatto capire che la Germania non ha alcuna voglia di pagare interessi più alti per finanziare il suo debito pubblico. In sintesi: accà nisciun è fess’!

La formula è tanto banale quanto chiara: se la Germania paga 2 di interessi e l’Italia paga 4, un eurobond dovrebbe pagare circa 3 per il principio dei vasi comunicanti (ovviamente, la dinamica non è così elementare, ma si adotta una semplificazione estrema per una facile comprensione). Morale: la Germania ci perderebbe o sarebbe costretta ad affrontare il compito titanico di garantire i debiti anche degli altri Stati dell’area Euro (compito che già assolve in parte). A che pro? I cittadini tedeschi accetterebbero ulteriori sacrifici per salvare la moneta unica? Improbabile.

Certo, le ripercussioni per la Germania si avvertono. Ad esempio, molti investitori preferiscono rischiare un po’ di più ed acquistare titoli di stato che offrono maggiori rendimenti (e quindi minori garanzie, inversamente proporzionali agli interessi corrisposti), snobbando i bund che, di conseguenza, essendo meno richiesti, sono costretti ad offrire una maggiore remunerazione. Ma, in casi di ulteriori tempeste, si sceglierà il porto tedesco o si preferiranno gli scali di Lisbona o Roma (tanto per restare nella metafora)?

Una delle tesi a favore dell’EuroBond è quella che fa leva su un possibile fallimento dell’Euro come moneta comune. Se la Germania dovesse tornare ad adottare il Marco, assisterebbe ad una fortissima rivalutazione della sua moneta, in seguito alla quale le sue esportazioni verrebbero penalizzate. E’ possibile, ma la Germania ha già dimostrato di essere capace di grandi sacrifici e di essere in grado di adattare la sua economia alle condizioni del mercato, come avvenuto dopo la riunificazione del 3 ottobre 1990: la Germania Est era al tracollo economico e Bonn (l’allora capitale della Germania Ovest) si accollò gli spaventosi costi necessari per tornare ad essere una nazione senza eccessive disparità. D’altro canto, la divisa solida permetterebbe di pagare meno le importazioni di materie prime, di manufatti asiatici e di energia (il vero bene primario di questo secolo). Infine, non va dimenticato che il Marco potrebbe sostituire l’Euro nelle transazioni internazionali, un ruolo non poco ambito, visto che gli Stati Uniti sono stati spesso spaventati dall’ipotesi di perdere il privilegio di un dollaro utilizzato come valuta universale.
Se ben ricordiamo, quando il Marco aveva corso legale, la Germania non se la passava affatto male. Anzi…

Come ha fatto intuire la Merkel, non ci sono scorciatoie per evitare i raid della speculazione che, dopo ogni colpo (questo non va mai dimenticato), diventa sempre più forte. Al culmine della crisi dei mutui subprimes, Warren Buffet, il più abile speculatore mondiale, soprannominato l’oracolo di Omaha (la sua città natale nel Nebraska), fece man bassa di azioni. Placatasi la buriana, Buffet si ritrovò molto più ricco di prima.

I mercati premiano i migliori e la strada del rigore è l’unica percorribile. L’Italia ha dimenticato che cosa sia la meritocrazia; evitiamo, però, di fare i furbi fuori dal nostro quartierino con chi ha dimostrato di essere più in gamba di noi. Soprattutto se in mano abbiamo pistole che sparano a salve.

(*) Nella recente Decisione di finanza pubblica, la cifra è stata quantificata in 75 miliardi di euro all’anno. Nella Finanziaria attualmente in discussione al Senato, si parla di 84 miliardi di euro all’anno.

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