In bianco e nero

30 Nov 2010 | Di | Categoria: Opinioni

Mario Monicelli
Mario Monicelli, maestro del cinema italiano, si è suicidato a 95 anni, il 29 novembre 2010, gettandosi dal quinto piano dell’ospedale “San Giovanni” di Roma. Monicelli era malato di cancro alla prostata in fase terminale.

Certi uomini sono troppo intelligenti per non aver maturato la consapevolezza che la vita è il prodigio del caso o di un Dio sovrano: ne fruiamo, ma non è “cosa” nostra; ne siamo gli usufruttuari, non i proprietari. Ma, a quegli stessi uomini, la natura e gli eventi hanno forgiato un carattere troppo indipendente per accettare curvando la schiena, per rinunciare a scegliere. Certi uomini danno un tale valore all’esistenza che sono incapaci di vederla svilita, come artisti che preferiscono distruggere un capolavoro, piuttosto che lasciarlo nelle mani degli stolti. Il loro orgoglio altro non è che la percezione esatta del proprio valore. Ed il carattere, quella strana forza che spinge ad andare sempre dritti senza deviare, si fa muro di fronte al giogo imposto dal decadimento fisico.
Il suicidio di Mario Monicelli, uomo coraggioso e grande regista, è stato il rifiuto della soggezione, il gesto coerente di chi dalla vita ha avuto molto e ad essa ha dato tanto. La sua parabola terrena non poteva concludersi con un abbandono del corpo – e, nella sofferenza, anche dello spirito – costretto alla mercé di mani inconsapevoli. I gesti che fanno parte della quotidianità del dolore e del bisogno avrebbero oltraggiato il dono di un talento umano e professionale straordinari. Se la vera forza di un uomo sta nella sua mente, nelle sue idee, nei suoi principi, la decisione di terminare l’esistenza è solo la soluzione estrema e senza alternative volta a preservarne la dignità ed il valore.
Con la scomparsa di Monicelli, le cui opere hanno raccontato gli uomini ed il Paese (da “La grande guerra” ad “Amici miei”, a “Parenti serpenti”), il cinema italiano torna al bianco e nero. “Ci sentiamo più soli”: frase abusata e schienata dalla retorica di chi la pronuncia senza sentirla. Frase che, però, assume carattere di verità per chi ha avuto l’occasione di leggere, studiare, ammirare chi ha offerto il meglio di sé, occupando un posto nella storia collettiva.
Il panorama si impoverisce sempre più. Si allontanano, ad uno ad uno, i riferimenti migliori. Si ha la sensazione fisica della perdita, del restringimento dell’orizzonte. E ci si sente desolati, cioè sempre più soli in un cammino verso l’ombra. Indro Montanelli, Enzo Biagi, Oriana Fallaci, Mario Monicelli, ma anche Sandra Mondaini e Raimondo Vianello, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Marcello Mastroianni: troppo lungo è l’elenco e nessuno sembra essere all’orizzonte a raccoglierne il testimone.
Nella gratitudine culturale e con il doveroso rispetto verso una scelta di valori, si fatica a contenere il vuoto che avanza e polverizza come un deserto. Affiora l’amaro nel museo della memoria.
Si tirano i remi in barca e si resta a pensare, a chiedersi se quel che è stato diventerà nulla.

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