In carcere l’ex governatore Cuffaro

22 Gen 2011 | Di | Categoria: In primo piano, In primo piano: news

Salvatore CuffaroGliene va dato atto: Salvatore Cuffaro, detto Totò o anche “zu vasa vasa”, ex presidente della Regione Sicilia condannato per mafia, ha saputo reagire alla decisione dei giudici della Cassazione e varcare il cancello del carcere di Rebibbia come dovrebbe fare ogni comune cittadino ritenuto colpevole dalla Giustizia.
Oggi, 22 gennaio 2011, Cuffaro è entrato nel penitenziario romano intorno alle 16.30, dopo che la seconda sezione penale della Corte di Cassazione aveva confermato la condanna già inflitta il 23 gennaio dalla Corte d’Appello di Palermo: sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e violazione del segreto istruttorio nell’ambito del processo “Talpe alla Dda” (Direzione distrettuale antimafia). L’ex senatore dei Popolari Italia Domani (oggi è decaduto dalla carica) era accusato di aver avvisato, tramite l’ex assessore Mimmo Miceli (Udc), il boss del quartiere Brancaccio, Guttadauro, della presenza di microspie piazzate dal Ros nella sua abitazione. La vicenda giudiziaria era iniziata nel settembre del 2005.
Con Cuffaro sono stati condannati in via definitiva altri 11 imputati, tra i quali Michele Aiello, manager della sanità privata in Sicilia ritenuto vicino a Bernardo Provenzano, che dovrà scontare una pena di 15 anni e mezzo di reclusione; l’ex maresciallo del Ros, Giorgio Riolo, a cui sono stati inflitti 7 anni, 5 mesi e 10 giorni di carcere; il dirigente della Sezione Anticrimine della Questura di Palermo, Giacomo Venezia (3 anni di reclusione); il radiologo Aldo Carcione (4 anni e 6 mesi).
Rispetto la magistratura; adesso andrò a costituirmi“, ha dichiarato Cuffaro mentre si dirigeva verso il carcere di Rebibbia. “Mi appresto a scontare la mia pena come è giusto che sia“, ha concluso l’ex governatore della Sicilia.
In un comunicato congiunto Pier Ferdinando Casini e Marco Follini si dicono “umanamente dispiaciuti per la condanna di Totò Cuffaro” ed esprimono “rispetto per la sentenza, come è doveroso in uno Stato di diritto e tanto più da parte di dirigenti politici. Ma non rinneghiamo tanti anni di amicizia e resta in noi la convinzione che Cuffaro non sia mafioso“. Come spesso avviene in questi casi, per il cittadino rimane arduo capire come si possa rispettare la Giustizia e restare convinti che il condannato sia sostanzialmente innocente. Forse, sarebbe stato meglio scrivere “umanamente convinti che Cuffaro non sia mafioso”.
Ieri, 21 gennaio 2011, una notizia apparsa sulla stampa aveva avallato l’ipotesi che il politico siciliano potesse evitare il carcere. Come riportato dall’Ansa, per la Procura Generale della Cassazione, l’ex governatore della Sicilia, Salvatore Cuffaro, non poteva essere accusato di favoreggiamento aggravato di Cosa Nostra perché sarebbe mancata la prova “di aver voluto favorire il sodalizio mafioso”. Infatti, il sostituto procuratore Giovanni Galati nella sua requisitoria al processo “Talpe alla dda” aveva chiesto l’annullamento, con rinvio alla Corte d’Appello, della sentenza di condanna a 7 anni di reclusione per Cuffaro, chiedendo alla stessa Corte d’Appello di Palermo di rideterminare la pena al ribasso. In tal modo, grazie a prescrizioni e benefici di legge, l’imputato avrebbe potuto restare a piede libero. In pratica, la tesi della Procura Generale è stata questa: è provato che la delazione ha agevolato singoli mafiosi, ma non è sicuro che sia stata favorita l’organizzazione. Una tesi che, a prima vista, sembra di lana caprina, benché dialetticamente sostenibile. La Mafia è una piovra non solo nei film ma anche nei fatti, una medusa dalle mille teste che allunga ovunque i suoi tentacoli, un tessuto organico che agisce con un comune intento criminale: aiutarne una parte significa favorirla nel suo complesso. Questa, almeno, l’opinione che può avere una persona qualunque, una opinione accolta nei fatti anche dai giudici della Suprema Corte.

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