La libertà di informazione in Italia

26 Set 2009 | Di | Categoria: In primo piano, In primo piano: news

In questo periodo, in Italia si parla molto di libertà di informazione. Un recente rapporto di FreedomHouse, una organizzazione no profit di Washington, ha assegnato al Paese il 73° posto in classifica (cliccare qui per scaricare il file), mentre una indagine di Reporter Sans Frontieres colloca l’Italia al 40° posto (cliccare qui per vedere la tabella).

A prescindere dalle analisi internazionali di carattere quantitativo, occorre tenere conto di alcune peculiarità della situazione nazionale.
La principale è la scarsa diffusione della carta stampata. Negli anni ’80 si sperò che le copie vendute raggiungessero la cifra di 8 milioni. Speranza vana, perché in meno di 20 anni le copie sono scese a poco più di 5 milioni.
In Italia la stampa quotidiana ha pagato il prezzo di scelte distributive errate compiute parecchi anni fa, quando si decise che i soli punti vendita dovessero essere le edicole (altrove, come si vede anche nei film americani, non è così).
Discorso diverso vale per la stampa periodica che gode di una situazione molto migliore, con testate (come “Famiglia Cristiana” e “Chi”) che superano il milione di copie, in buona parte distribuite tramite abbonamento (il numero degli abbonamenti ai giornali è esiguo, anche a causa delle lentezze postali).
Altra peculiarità italiana è l’assetto televisivo che vede 3 reti pubbliche, 3 reti Mediaset ed 1 rete Telecom a fagocitare oltre il 90% della fruizione televisiva (La7, della Telecom, ha uno share inferiore al 5%).

Una novità è rappresentata da Internet, anche se il Paese è agli ultimi posti in Europa per percentuale di accessi (poco superiore al 50% della popolazione), per diffusione della banda larga e per tasso di conoscenze informatiche.

La formazione di una opinione pubblica passa attraverso l’informazione ed essa oggi è soprattutto televisiva.

E’ difficile immaginare che un giornalista italiano possa essere obbligato a trattare in un certo modo un argomento o ad occuparsi di determinate notizie (anche se molti, forse, sarebbero felici di farsi coartare), ma – anche in questo caso – occorre tenere presenti alcuni fattori.

1) Non esistono o sono pochissimi gli editori puri: nella stragrande maggioranza, le imprese editrici appartengono a gruppi che hanno i loro interessi in altri settori.
2) I bilanci dei giornali (cioè delle testate quotidiane) sono in rosso. Il Giornale diretto da Feltri, ad esempio, pare che perda circa 22 milioni di euro l’anno (pari a circa 40 miliardi delle vecchie lire). Da anni, il prezzo di copertina serve appena a coprire le spese e spesso non basta affatto. I guadagni derivano dalla pubblicità che, in periodi di crisi, cala ulteriormente.
3) I giornalisti sono relativamente pochi (i professionisti sono più o meno 14.000), ma questo non li agevola nel caso in cui si dimettessero o venissero licenziati: in provincia, ad esempio, si libera un posto ogni 4-5 anni, se va bene. Mentre la nascita di nuove testate è un fatto eccezionale. Negli altri Paesi la situazione è migliore, sebbene la crisi sia internazionale.
4) I free lance, cioè i giornalisti senza contratto che vivono vendendo i servizi realizzati di volta in volta, sono pochi, perché solo pochissimi sono così noti da poter sperare in un acquirente. Gli altri o rischiano molto (servizi in zone di guerra o in aree criminali), oppure fanno fatica a mettere insieme uno stipendio.
5) La Rai, cioè il servizio pubblico radiotelevisivo, non fa concorsi pubblici da circa 40 anni, se si eccettua un concorso televisivo fatto ad inizio anni ’90, i cui pochi vincitori sono ancora in cerca di sicurezze (sedi disagiate o precarietà). Le assunzioni avvengono per chiamata diretta, che di solito fa seguito ad un periodo, a volte annoso, di precarietà. Sui criteri di scelta, le influenze politiche hanno un forte peso.

In base agli elementi indicati, è legittimo (o forse banale) dedurre che la disponibilità e l’investimento di grandi somme di denaro – che trovano la loro remunerazione in ambiti diversi dalla stampa pura – è determinante per la produzione di notizie, per fare informazione. La quale, in base all’assunto iniziale, è imprescindibile per la creazione di una opinione pubblica consapevole.

Un recente episodio mi sembra poter confermare il precedente enunciato: il settimanale Panorama, del gruppo Mondadori, mi ha recapitato (come accaduto per tantissimi altri potenziali lettori) un’offerta che prevedeva l’abbonamento annuo per poche decine di euro (mi pare fossero 30). E’ impossibile che una somma così esigua possa ripagare l’editore. Si tratta, quindi, di una offerta che contempla la perdita di parecchio denaro: in base a conti molto approssimativi, la Mondadori ci rimette almeno 70-80 euro per abbonato.

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