Le accuse al presidente Napolitano sono fondate?
3 Feb 2014 | Di Giuseppe | Categoria: In primo piano, In primo piano: noteDa quando ha assunto il suo secondo mandato, primo caso nella storia della nazione, il presidente della repubblica Giorgio Napolitano è al centro dell’agone politico ed il suo operato ha suscitato sempre più numerose polemiche. L’ultima mossa è stata compiuta dal Movimento 5 Stelle guidato da Beppe Grillo, che ha accusato Napolitano di alto tradimento ed attentato alla Costituzione, come previsto dalla stessa Carta costituzionale. Per anglomania, la procedura è stata definita impeachment, come negli Stati Uniti. Essa consiste, in pratica, nella revoca del mandato. Su Libertà e Giustizia, il costituzionalista Gaetano Azzariti (cliccare qui per leggere l’articolo) ha scritto che «la messa in stato d’accusa del presidente della Repubblica non ha fondamento costituzionale», argomentando in modo ampio la sua tesi.
Quella sottostante è la risposta dello storiografo Giuseppe Aragno, dell’Università “Federico II” di Napoli.
Napolitano: un’accusa moralmente e politicamente fondata
Se scrive sul Manifesto che l’accusa di attentato e tradimento mossa a Napolitano è giuridicamente «inconsistente», Azzariti sa di che parla e ha di certo ragione. Io, però, che sono di parte, l’avvocato di questo Presidente non lo farei e dirò di più: temo che la «consistenza» non assicurerebbe esiti positivi all’accusa e penso che argomentazioni giuridiche forti soffrano talora di una forte debolezza politica. Senza contare le questioni etiche.
Su un punto, mi pare, conveniamo: la china pericolosa, il processo degenerativo della politica, la manomissione di principi e forma di governo, l’esproprio della funzione legislativa. Per farla breve, sulla Costituzione forzata. Anche ora è forzata, nel silenzio del Colle, solitamente più che ciarliero, da una legge elettorale che nasce da intese tra il sindaco di Firenze e un pregiudicato, su basi che fanno a pugni con la sentenza appena emessa dalla Consulta.
Azzariti non nega il disastro; fa, però, di molte erbe un fascio – Quirinale, Parlamento, governo, partiti – e diventa fuorviante. Se è vero, infatti, che il sostanziale tradimento dello Statuto è ormai un reato che ha assunto addirittura carattere associativo, vero è anche che garante della Costituzione è anzitutto il Quirinale. Napolitano, quindi, non si scagiona né in tutto, né in parte, chiamando in causa le colpe di altri: è lì per impedirle. Il fatto è, purtroppo, che il Presidente non solo non ha contrastato il degrado, ma n’è stato spesso promotore. La guerra travestita da pace, i fondi sottratti al sistema formativo statale, per finanziare quello privato, non riguardano la Costituzione? Le leggi sull’immigrazione, col tragico codicillo di campi di internamento e innumerevoli morti affogati nel Mediterraneo, sono in linea con lo spirito della Costituzione? A quale «legge uguale per tutti», pensavano, il Presidente e i suoi consulenti, quando riabilitarono Craxi, dopo una condanna passata in giudicato, e trovarono legale il lodo Alfano, risultato poi incostituzionale? Quale Costituzione ha garantito Napolitano, quando ha conteso al Parlamento il diritto di decidere sulle spese militari e sui cacciabombardieri, che sono cibo tolto di bocca ai lavoratori ridotti alla fame e ai giovani senza lavoro? Cosa c’è di costituzionale nei reiterati inviti rivolti al Parlamento, perché approvi in tempi brevissimi leggi che richiedono ponderate riflessioni? Quando e come Napolitano legge i decreti che firma, se il governo li sforna all’ultimo momento e a stento i vituperati Cinque Stelle ne scoprono talora le magagne? Non s’è accorto il Quirinale che il pareggio di bilancio infilato nella Costituzione ha ridotto la politica a miserabile ragioneria?
Il Parlamento, scrive Azzariti, è «muto e umiliato». E’ vero purtroppo, ma si fa davvero fatica a parlare di «deputati», dopo tre elezioni politiche svolte con una legge palesemente incostituzionale. I «nominati», sono muti per loro natura e. più che subire umiliazioni, umiliano l’Istituzione di cui fanno parte senza mandato popolare. Qual è il Parlamento muto? Quello che a stento conserva una legittimità «tecnico-giuridica», ma non ha più quella etica e politica? La legge Calderoli, si potrebbe obiettare, fu Ciampi a firmarla. Ed è vero. Vero è anche, però, che sono trascorsi anni da quando Napolitano non sciolse le Camere e lasciò sopravvivere il governo Prodi; aveva preso atto: con la legge Calderoli non si poteva votare. Quando, però, Prodi non cambiò la legge elettorale, il Presidente non si dimise.
All’origine del tradimento ci sono i partiti? Ma i partiti non hanno l’obbligo di fare i garanti dello Statuto. Questo è compito del Presidente della Repubblica. Glielo hanno reso impossibile? Avrebbe dovuto, allora, denunciare al «popolo sovrano» la situazione di crescente illegalità e dimettersi. Il popolo, invece, Napolitano l’ha sempre ignorato. Non avrebbe mai dovuto accettare la rielezione, perché gliela offrivano Camere elette di nuovo con un legge che riteneva incostituzionale e partiti pronti a fare un governo che avrebbe inevitabilmente tradito gli elettori. Il voto era stato chiaro: non vogliamo destra e sinistra unite. Non avrebbe dovuto, perché è vero che la Costituzione non mette limiti ai mandati presidenziali, ma è verissimo che, ragionando così, se si può fare per due volte il Presidente, si può farlo anche tre volte e – perché no? – anche quattro e cinque volte.
Tutto ha un limite e noi l’abbiamo superato da tempo. L’accusa dei Cinque Stelle sarà giuridicamente infondata, ma è fondata politicamente e moralmente. Ricorda a tutti, partiti, Istituzioni, giornalisti distratti e cittadini, che il Presidente della Repubblica ha un compito soprattutto: garantire il rispetto della Costituzione. Napolitano non solo non solo non l’ha fatto, quali che ne siano state le ragioni, ma ogni giorno, con insistenza che è di per sé autodenuncia, chiede a un’accozzaglia di «nominati», giunti in Parlamento grazie a una legge incostituzionale, di cambiare la Costituzione.
Ecco, questa richiesta, da sola, è un tradimento. Un oltraggioso tradimento.