Orribili quegli anni

8 Gen 2008 | Di | Categoria: Opinioni

La commemorazione per il trentennale della strage di Acca Larentia fa riaffiorare i ricordi. Furono uccisi tre giovanissimi missini: Francesco Ciavatta, Franco Bigonzetti e Stefano Recchioni. I primi due colpiti da un commando di estrema sinistra ed il terzo da un carabiniere durante gli scontri seguiti all’agguato. Dopo tanto tempo, le ferite bruciano ancora per chi restò coinvolto fisicamente, emotivamente o politicamente.
Quelli furono anni duri. I notiziari tv sembravano bollettini di guerra. I “rossi” colpivano quasi quotidianamente armati di P38, i “neri” facevano esplodere bombe. Ragazzini che il giorno prima avrebbero risposto “sono della Juventus”, “del Milan”, o “dell’Inter” alla domanda “Tu che sei?”, iniziarono a dire: “Comunista” o “Fascista”. Si passò di botto dal calcio alla politica, la cui via di mezzo era considerata un ibrido da scamorzette.
Mario Capanna, ex leader di Democrazia Proletaria, nel 1994 (mi pare) pubblicò un libro di analisi/memorie dal titolo “Formidabili quegli anni”. Frase azzeccata, ma solo per chi visse quel periodo su una tribuna, per chi fece carriera nelle università (quanti asini promossi fino alle più alte cattedre in nome della “democrazia”!), per chi divenne dirigente politico, per chi ne trasse vantaggi economici ed imbastì utili connivenze. Per molti altri che fecero scelte sbagliate o dettate solo da emozioni e sentimenti, quegli anni aprirono baratri o condannarono a vita. Chi ricorda l’eroina che iniziò a circolare prepotente e la marea di giovani che ne restò vittima fino alla morte? Quanti furono i ragazzi, i più ingenui, forse i migliori, che si rifugiarono nella droga dopo essere stati traditi negli ideali? Furono tanti, davvero tanti, ma non fecero notizia perché sparirono alla chetichella, un po’ alla volta.
Acca Larentia, con il lungo elenco di luoghi e nomi rievocati, è un anniversario che – per chi ha avuto la fortuna di non vivere quella ed altre tragedie di sangue – suggerisce tre parole sugli “anni di piombo”: idiozia, cinismo, retorica. Idiozia perché si prendevano decisioni al di sopra delle proprie possibilità e – soprattutto – della propria maturità, si abboccava ad ogni slogan, si rispondeva al richiamo della piazza per non restare indietro e sentirsi esclusi (in quegli anni è nata la moda come fenomeno di massa). Cinismo perché in troppi hanno manovrato e strumentalizzato i giovani; si parlava di un grande vecchio, dei complotti della Cia e non ci si accorgeva che, sottile e furba, la regia del teatrino l’avevamo in casa. Retorica perché basta ricordare qualche frase, qualche titolo di giornale, qualche film o striscione per avvertirne l’odore dolciastro e pesante; retorica perché essa è da sempre il primo alimento della folla, la benzina più efficace per spostare ed inebetire le moltitudini, in modo da usarle per i propri fini.
Giudizi inaccettabili, questi, per chi piange ancora i propri morti (una immagine per tutte, straziante: quella dei fratellini Mattei affacciati insieme alla finestra e lì raggiunti dalle fiamme e dalla morte). Gli ideali di chi ha creduto e pagato vanno rispettati ed onorati; i lutti hanno solo il colore funebre ed il marchio di un dolore senza fine; analisi e giudizi non possono toccarli. Ma i quattrini e le carriere fatti in quegli anni sono sporchi e vanno ricordati, anche perché chi ne ha goduto quasi mai ne ha pagato il prezzo. “Orribili quegli anni”.

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