Punto di non ritorno
9 Nov 2011 | Di Giuseppe | Categoria: OpinioniSul Titanic si temporeggia e ci si gingilla, mentre l’acqua invade lo scafo e lo tira a fondo. Oggi, 9 novembre 2011, lo spread fra Btp italiani e Bund tedeschi ha toccato il punto di non ritorno. Ecco le boiate che, secondo me, stanno sfarfallando mentre va a picco la nave costruita con il sangue ed il sudore di generazioni di lavoratori.
1) Indire nuove elezioni prima possibile. Se si decidesse di andare alle urne fra qualche mese, si alimenterebbe l’incertezza degli investitori e non si arresterebbe il crollo di valore dei Titoli del debito pubblico italiano (Bot, Btp, Cct, Ctz). L’Italia non è la Spagna. In negativo. Cioè, nel Paese iberico, le dimissioni di Zapatero hanno significato un netto cambio di rotta. I mercati hanno capito che la Spagna fa sul serio e, quindi, le stanno accordando una fiducia temporanea. In Italia, invece, si correrebbe il rischio di rivedere in Parlamento deputati e senatori del calibro di Scilipoti, Cicchitto, Calderoli ecc. Non solo: considerata l’inettitudine del Pd a proporsi come forza di governo credibile, non sarebbe assurda l’ipotesi di un nuovo governo a guida Bossi e Berlusconi (o loro prestanome), i due compari che stanno per mandare in fumo i nostri risparmi dopo avere governato per quasi 20 anni. La soluzione migliore potrebbe essere quella di un governo di unità nazionale come deciso in Grecia, guidato da una personalità di rilievo internazionale in campo economico. Il candidato ideale sarebbe stato Mario Draghi, ma questa è una strada non più praticabile. Resta Monti, già più volte nominato. Se l’economista accettasse l’incarico ed il Parlamento lo seguisse compatto, la differenza di rendimento fra Buoni del Tesoro italiani e Bund tedeschi crollerebbe. Ma, forse, si tratta solo del sogno di un piccolo italiano che spera di vedere una classe politica cialtrona ravveduta sulla via di Damasco.
2) Comprare in massa Titoli di Stato. Nei giorni scorsi, l’acquisto di una pagina del Corriere della Sera per invitare la gente a investire in Bot e Btp ha ottenuto risonanza nazionale. Giuliano Melani, un intermediario finanziario, ha lanciato l’appello il 4 novembre. “Rechiamoci in banca e compriamo il nostro debito”, ha proclamato. E banche e imprenditori hanno risposto in coro: “Giusto, va bene, corriamo a puntellare le sfondate casse dello Stato”. Se davvero c’è stata adesione, i risultati non si sono visti. Il patriottismo economico rischia di restare una bella medaglia – sempre se si ammettesse che alle chiacchiere siano seguiti o seguano i fatti – appesa sul petto degli Enrico Toti del Bot, che lanciano la loro stampella contro il nemico senza mutare le sorti della battaglia. Se poi si pensasse che nei Titoli di Stato sono investiti i risparmi di intere famiglie e che quei soldi sono costati le fatiche di una vita, beh… si sfiorerebbe la temerarietà o l’incoscienza. Appelli di questo tipo lasciamoli a gente come Berlusconi, l’unto dal Signore che mai avrebbe messo le mani in tasca agli italiani… finendo poi per annichilirli e per renderli ridicoli agli occhi del mondo. Le famiglie italiane detengono circa il 18% del debito pubblico nazionale. Se, con una bacchetta magica, i risparmi della popolazione raddoppiassero e tutto venisse investito in Bot e Btp, si arriverebbe ad un 36-40% del totale. Troppo poco per risollevare le sorti dei Titoli di Stato. A stabilire i prezzi sono le banche estere ed i grandi investitori internazionali, poco propensi ad abboccare all’amo del populismo. Loro badano al sodo e non regalano nulla. L’eroismo, a Piazza Affari, è un vezzo da kamikaze.
3) “La Lombardia sarebbe una nuova Baviera”. Ecco l’ennesima sciocchezza pronunciata da Bossi che Matteo Renzi, sindaco di Firenze, ha definito in tv “persona da accudire”. Il giovane rampante del Pd non ha torto. Bossi ha costruito sul nulla le sue fortune politiche, procedendo a slogan ed iperboli senza riscontro. Nessun uomo di cultura e nessun grosso imprenditore del Nord hanno mai aderito alla Lega. Se l’Italia sprofonda nella crisi e va verso il default – cioè verso la bancarotta, verso l’impossibilità di onorare i suoi debiti – i primi a pagarne le spese saranno proprio i settentrionali, con le loro aziende, con le loro banche, con i loro affari. Il ragionamento è elementare: se affonda il mercato interno, che in media rappresenta circa il 60% del fatturato, le fabbriche devono licenziare parte dei dipendenti o – addirittura – devono chiudere. Se un imprenditore necessita di un prestito bancario e la banca non glielo concede o glielo accorda a tassi altissimi, il pover’uomo fallisce. Gli istituti di credito italiani sono pieni di Titoli del debito pubblico; una loro svalutazione compromette i bilanci, drena la disponibilità di denaro contante (gli stessi Titoli, dati come pegno, valgono meno e quindi sono necessarie ulteriori garanzie economiche, come già richiesto da Clearnet, la maggiore cassa di compensazione europea), riduce la circolazione della moneta. Quindi, chi dovrà sopportare il peso di questo salasso sarà proprio la parte più attiva del Paese. La Baviera poggia su fondamenta solide. Il Settentrione soffre degli stessi mali dell’economia nazionale; anzi, esso è, esso rappresenta l’economia nazionale, con tutti i pregi, i difetti e le conseguenze che ne derivano. La Baviera è un colosso perché ha la robusta Germania alle spalle ed il mercato interno “tira”. Il Nord, di per sé, è un mercato piccolo, limitato; esso è un competitor con poche risorse, se lo si confronta con intere nazioni che si muovono compatte. Per farla breve: non raccontiamoci favole e Bossi la smetta di dettare legge quando non conosce nemmeno i costi del federalismo fiscale che invoca da 20 anni. E’ tempo di lasciare spazio a chi sa, ai tecnici, alle persone preparate, senza costringere le menti migliori a fuggire all’estero, oppure evitando di avvilirle in un angolo ai margini della vita pubblica. I medici facciano i medici, gli agopuntori si limitino ad usare gli aghi, le igieniste dentali si occupino della placca batterica, gli asini tornino a scuola ad imparare. Negli ultimi 20 anni, quando il duo B&B (cioè Bossi e Berlusconi) ha imposto la politica nazionale, il Paese è cresciuto? è migliorato? No? Allora, a casa. E basta con le favole riservate ai poveri cristi che si scagliano contro gli immigrati per contendersi un tozzo di pane e che si inchinano ai potenti per sfamarsi di briciole.
4) “Servono decisioni rapide”. L’appello di Napolitano, ripetuto da mesi, oramai serve a nulla. I leader mondiali (Merkel, Sarkozy, Obama) e la Bce (cioè la Banca centrale europea) lo hanno detto con chiarezza: il riferimento principale è costituito dalle istituzioni italiane e dal presidente della repubblica. Se i tempi sono drammatici – ed oggi, 9 novembre 2011, il punto di non ritorno è stato superato – Napolitano smetta di invocare il miracolo ed inizi ad agire. Che l’Italia sia governata da incapaci è stato ben compreso all’estero ed anche in Italia (sebbene da un risicato 70% della cittadinanza… ma, si sa, noi amiamo le favole perché abbiamo il gene di Peter Pan nelle vene). Quindi, il presidente sciolga il parlamento ed inizi subito, oggi stesso, a consultare i grotteschi leader politici che ci ritroviamo e conferisca domani l’incarico di guidare il governo ad una persona decisa e capace. Ci sono 10 possibilità su 100 che questo accada. Nella situazione attuale, si può solo sperare nella fortuna, se non si vuole vedere il Paese crollarci addosso.
Purtroppo, è più probabile che l’Italia continuerà a ballare rantolando. La Bce cesserà di svenarsi per raccattare inutilmente Bot e Btp, il panic sell (cioè le vendite disperate dettate dal panico) si impadronirà dei mercati, ci avviteremo su noi stessi e ci piegheremo per inedia da shock. Se non si farà una inversione ad U entro i prossimi giorni, il default dovrà soltanto essere certificato e non è escluso che già ora si stia ipotizzando una bancarotta morbida, cioè una cancellazione di parte del debito pubblico, che graverebbe sulle banche ed in tutto o in parte sui comuni cittadini. L’Argentina rimborsò il 25-30% del suo debito; per la Grecia si parla di un taglio del 50%. Per l’Italia sarà drammatico scegliere che percentuale azzerare, perché la mole del suo debito pubblico è enorme (1.900 miliardi di euro, di cui 300 accumulati negli ultimi 3 anni). Magari, si prospetterebbe pure una resurrezione della lira (o ci cacciano dall’Europa, o ci mettono in gabbia), a cui aspirano i frequentatori di mercati rionali e barberie: se tornasse in vigore la vecchia valuta, nessuno ci farebbe più credito perché non saremmo garantiti dagli aiuti dei partner; le merci importate costerebbero almeno il doppio, le materie prime necessarie alla produzione svenerebbero gli imprenditori ed i prezzi delle merci salirebbero alle stelle. Si finirebbe per regredire ad una economia di scambio. Meglio non pensarci.