Ricordare. Con nomi e cognomi

22 Mag 2012 | Di | Categoria: Opinioni

Ilda Boccassini e Giovanni Falcone a Buenos Aires nel 1990Sono trascorsi 20 anni. Il 23 maggio 1992 Giovanni Falcone saltò in aria a Capaci, assieme alla moglie ed agli uomini della scorta. Fu una strage che preluse a quella successiva, ancora più feroce: il 19 luglio 1992, il giudice Paolo Borsellino fu fatto esplodere in via d’Amelio; anche in questo caso, la scorta fu trucidata.
Dopo 20 anni di memorie, rievocazioni, sdegno e lacrime, quasi nulla è cambiato. Le organizzazioni criminali prosperano e connivono con il potere, quando non piazzano direttamente i loro uomini ai vertici dello Stato.
A lungo andare, le commemorazioni non servono; anzi, rischiano di diventare un alibi per accettare meglio, un velo pietoso funzionale alla quiete delle coscienze.
Il cittadino comune può fare soltanto due cose: il proprio dovere in modo onesto e ricordare. Però, ricordare non significa commuoversi, ma vedere, tentare di capire, avere sempre ben chiara l’immagine del passato.
Le parole di Ilda Boccassini, nemico numero uno della ‘Ndrangheta, fra i principali avversari di Cosa Nostra e di molti politici, fanno chiarezza su fatti e persone. Per ricordare davvero.

“Né il Paese né la magistratura né il potere, quale ne sia il segno politico, hanno saputo accettare le idee di Falcone, in vita, e più che comprenderle, in morte, se ne appropriano a piene mani, deformandole secondo la convenienza del momento. E’ soltanto il più macroscopico paradosso della vita e della morte di Giovanni Falcone: la sua breve esistenza, come oggi la sua memoria, è stata sempre schiacciata dal paradosso, a ben vedere. Ce ne sono di clamorosi… Non c’è stato uomo in Italia che ha accumulato nella sua vita più sconfitte di Falcone. E’ stato sempre “trombatissimo”. Bocciato come consigliere istruttore. Bocciato come procuratore di Palermo. Bocciato come candidato al Csm, e sarebbe stato bocciato anche come procuratore nazionale antimafia, se non fosse stato ucciso”.

Così Ilda Bocassini ricordò Giovanni Falcone a 10 anni dalla sua morte, come è scritto in un articolo di RaiNews
http://www.rainews24.rai.it/ran24/speciali/irisme/personaggi_boccassini.htm.

Nello stesso articolo, si legge ancora:
“E’ lei a condurre buona parte delle indagini che risalgono agli esecuti materiali ed ai mandanti della strage di Capaci, è lei a raccogliere elementi fondamentali per fare chiarezza sulla strage di via D’Amelio. Coerente fino alla scontrosità, inflessibile nelle requisitorie, esigente con i collabortori, a Milano si tuffa ben presto nell’inchiesta Duomo connection. Impermeabile al fascino dei riflettori, infastidita dai risvolti mediatici dei processi eccellenti che la vedono sostenere la pubblica accusa, è stata inserita dal settimanale francese L’Express fra le cento donne più potenti del mondo. Aspramente attaccata dai difensori degli imputati del processo Sme-Ariosto per la sua intransigenza, sfugge alle facili etichette di chi la inquadra politicamente e in una lunga intervista a Giuseppe D’Avanzo (Repubblica), nell’anniversario della morte di Falcone, ha toni polemici nei confronti di molti suoi colleghi, perché “la magistratura italiana addirittura scioperò contro Falcone nel 1991. Scioperò contro la legge che creava la Procura nazionale antimafia a lui destinata”.

E poi:

Abituata alla ricerca di chiarezza, fa nomi e cognomi: “Per bloccarne la candidatura (di Falcone all’antimafia, ndr.) – spiega – un togato del Csm, Gianfranco Viglietta, di Magistratura democratica, esaltò in una lettera al presidente Cossiga l'”assoluta indipendenza” dell’antagonista di Falcone, Agostino Cordova, osservando che “i criteri per la nomina a importantissimi incarichi direttivi non prevedono notorietà o popolarità”. Dunque, Falcone non era indipendente, ma solo “popolare” per Viglietta. Più esplicito in quell’accusa fu Alfonso Amatucci, anch’egli togato al Csm, per la corrente dei Verdi (cui pure Falcone aderiva). Scrisse al Sole-24 ore che Giovanni “in caso di designazione, avrebbe fatto bene ad apparire libero da ogni vincolo di gratitudine politica”. Falcone era più o meno un “venduto” per Amatucci”. E ancora, guardando a fuori il Palazzo, non risparmia dalle critiche esponenti di sinistra: “Leoluca Orlando Cascio (già sindaco di Palermo, ndr.), nel 1990, sostenne e non fu il solo, soprattutto nella sinistra che “dentro i cassetti della procura di Palermo ce n’è abbastanza per fare giustizia sui delitti politici”. Quei cassetti, dove si insabbiava la verità sulla morte di Mattarella, La Torre, Insalaco, Bonsignore, erano di Falcone. Ritorna l’accusa di Amatucci e Viglietta: Falcone è un “venduto”. Delle due l’una, allora. O quelle accuse erano fondate e allora non si beatifichi come eroe un magistrato che ha fatto commercio della sua indipendenza o quelle accuse erano, come sono, calunnie e gli artefici avvertano la necessità di fare pubblica ammenda. In dieci anni, non ho ancora ascoltato una sola autocritica nella magistratura e nella politica”.

Ecco altre parole, limpide e nette, che aiutano la memoria, parole tratte da un’intervista che Giuseppe D’Avanzo fece alla Boccassini il 21 maggio 2002
http://www.repubblica.it/online/politica/falcone/falcone/falcone.html.

“Credo che la ragione (delle celebrazioni di Falcone, n.d.r.) vada rintracciata nell’ipocrisia del Paese, nel senso di colpa della magistratura, nella cattiva coscienza della politica. Né il Paese né la magistratura né il potere, quale ne sia il segno politico, hanno saputo accettare le idee di Falcone, in vita, e più che comprenderle, in morte, se ne appropriano a piene mani, deformandole secondo la convenienza del momento. E’ soltanto il più macroscopico paradosso della vita e della morte di Giovanni Falcone: la sua breve esistenza, come oggi la sua memoria, è stata sempre schiacciata dal paradosso, a ben vedere. Ce ne sono di clamorosi… Non c’è stato uomo in Italia che ha accumulato nella sua vita più sconfitte di Falcone. E’ stato sempre “trombatissimo”. Bocciato come consigliere istruttore. Bocciato come procuratore di Palermo. Bocciato come candidato al Csm, e sarebbe stato bocciato anche come procuratore nazionale antimafia, se non fosse stato ucciso. Dieci anni fa, per dar conto delle sue sconfitte, Mario Pirani dovette ricorrere a un personaggio letterario, l’Aureliano Buendìa di Cent’anni di solitudine che dette trentadue battaglie e le perdette tutte: ancora oggi, non c’è similitudine migliore. Eppure, nonostante le ripetute “trombature”, ogni anno si celebra l’esistenza di Giovanni come fosse stata premiata da pubblici riconoscimenti o apprezzata nella sua eccellenza. Un altro paradosso. Non c’è stato uomo la cui fiducia e amicizia è stata tradita con più determinazione e malignità. Eppure le cattedrali e i convegni, anno dopo anno, sono sempre affollati di “amici” che magari, con Falcone vivo, sono stati i burattinai o i burattini di qualche indegna campagna di calunnie e insinuazioni che lo ha colpito”.

Domanda di D’Avanzo:
Polemiche, ancora polemiche, venti lustri dopo? Non le sembra una maledizione di cui conviene, una buona volta, liberarsi?

Risposta della Boccassini:
“Non voglio risse né polemiche. Voglio ricordare, ragionare e capire perché – credo – così si rispetta il sacrificio di questo strano tipo di italiano, grande e scomodo, che è stato Giovanni. Voglio ricordare che la magistratura italiana addirittura scioperò contro Falcone nel 1991. Scioperò contro la legge che creava la Procura nazionale antimafia a lui destinata. Per bloccarne la candidatura, ricordo, un togato del Csm, Gianfranco Viglietta, di Magistratura democratica, esaltò in una lettera al presidente Cossiga l'”assoluta indipendenza” dell’antagonista di Falcone, Agostino Cordova, osservando che “i criteri per la nomina a importantissimi incarichi direttivi non prevedono notorietà o popolarità”. Dunque, Falcone non era indipendente, ma solo “popolare” per Viglietta. Più esplicito in quell’accusa fu Alfonso Amatucci, anch’egli togato al Csm, per la corrente dei Verdi (cui pure Falcone aderiva). Scrisse al Sole-24 ore che Giovanni “in caso di designazione, avrebbe fatto bene ad apparire libero da ogni vincolo di gratitudine politica”. Falcone era più o meno un “venduto” per Amatucci. Ancora un ricordo. Leoluca Orlando Cascio, nel 1990, sostenne e non fu il solo, soprattutto nella sinistra – che “dentro i cassetti della procura di Palermo ce n’è abbastanza per fare giustizia sui delitti politici”. Quei cassetti, dove si insabbiava la verità sulla morte di Mattarella, La Torre, Insalaco, Bonsignore, erano di Falcone. Ritorna l’accusa di Amatucci e Viglietta: Falcone è un “venduto”. Delle due l’una, allora. O quelle accuse erano fondate e allora non si beatifichi come eroe un magistrato che ha fatto commercio della sua indipendenza o quelle accuse erano, come sono, calunnie e gli artefici avvertano la necessità di fare pubblica ammenda. In dieci anni, non ho ancora ascoltato una sola autocritica nella magistratura e nella politica. Fin quando ciò non accadrà, io sentirò il dovere di ricordare. Perché solo ricordare le umiliazioni subite da Giovanni Falcone permette di comprendere il significato del suo sacrificio, il suo indistruttibile senso del dovere e delle istituzioni; di afferrare l’eccentricità “rivoluzionaria” del suo riformismo rispetto a un modo di essere magistrato in Italia o a fronte dell’idea subalterna della funzione giudiziaria coltivata dalla politica. Era questa sua diversità a renderlo inviso a una parte della magistratura e a rendergli diffidente e nemica la politica, tutta la politica, se si esclude la parentesi al ministero dove gli fu possibile sperimentare qualche sua innovativa idea”.

Dopo che il magistrato aveva fatto nomi e cognomi, D’Avanzo incalzò: A chi pensa?
Risposta di Ilda Boccassini:
“Lascio cadere i nomi di tutti coloro che hanno ruolo istituzionale per evitare altre polemiche. Forse il nome del senatore Lino Jannuzzi posso, tuttavia, farlo. Jannuzzi, quando Falcone si trasferì al ministero, consigliò agli italiani di tenere a portata di mano il passaporto perché stava nascendo, dopo la “cupola” mafiosa di Palermo, un’altra pericolosa “cupola” a Roma”.

Ricordare significa non dimenticare le responsabilità e le colpe, anche se seguite da pentimenti. Nomi e cognomi servono. Sempre.

Per concludere, ecco un video, tanto eloquente quanto nauseante. Nell’ottobre 2001 al magistrato fu revocata la scorta. Svolgeva la funzione di Pubblico Ministero al processo Sme, in cui era imputato (per corruzione in atti giudiziari) Silvio Berlusconi, allora capo del governo. La iena Alessandro Sortino intervistò alcuni politici.

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