Scemo chi (e)legge
19 Gen 2008 | Di Giuseppe | Categoria: OpinioniSalvatore Cuffaro, in arte Totò, presidente Udc dell’Assemblea siciliana: “La Sicilia non merita di avere un presidente della Regione condannato”. Fu questa la risposta che diede a Giuliano Ferrara durante la trasmissione “Otto e mezzo” su La7, il 17 ottobre scorso. Il giornalista, serrando gli occhietti furbi, incalzò intrepido: “Subito? dopo la sentenza di primo grado, senza aspettare il verdetto della Cassazione?”. “Sì – confermò graniticamente il politico – un’eventuale condanna vale da subito. Dovrei continuare a fare il presidente della Regione da condannato e credo che la Sicilia meriti rispetto, così come lo merita la magistratura”. Non solo. Rincarò la dose di moralità che non intendeva usare in dose “q.b.”, come nelle ricette di Nonna Papera: “Credo che il mio ruolo istituzionale mi imponga di dimettermi e di lasciare la politica”. Tonino Russo, vicepresidente del Pd siciliano, presente al dibattito, dovette incassare il gran proposito: “Apprezzo le parole del presidente. Le sue dimissioni in caso di condanna sono un atto di grande valore istituzionale”. Due giorni prima, a carico di Totò erano stati chiesti 8 anni di carcere per favoreggiamento a Cosa nostra; in base all’accusa, avrebbe rivelato ad alcuni indagati che il loro telefono era sotto controllo, avvantaggiando l’organizzazione criminale.
Venerdì 18 gennaio 2008. Totò viene condannato dal tribunale di Palermo a 5 anni di reclusione ed alla interdizione perpetua dai pubblici uffici, per favoreggiamento semplice e rivelazione di notizie riservate; i giudici non hanno ritenuto sufficientemente provato il favoreggiamento aggravato e cioè l’aver agito nell’interesse di Cosa nostra. Totò esulta: “Resto al mio posto! E’ stato riconosciuto che non sono colluso”. In pratica, come ha sottolineato il Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, Totò avrebbe favorito singoli mafiosi come Giuseppe Guttadauro, Salvatore Aragona, Vincenzo Greco, Michele Aiello e Domenico Miceli, ma non Cosa nostra. Il posto è salvo e Cuffaro ha prontamente rassicurato i suoi fedelissimi: “Da domani torno al lavoro”. Insomma, tutto come prima e più di prima. Se la condanna sarà confermata nei successivi gradi di giudizio, lui avrà pure aiutato dei mafiosi, ma non la mafia.
A margine: il senatore a vita (in quanto ex Presidente della Repubblica) Francesco Cossiga – da molti considerato un maitre à penser da quando ha abbandonato la logica comune per “imbracciare” il piccone – commentando per Il Corriere della Sera la sentenza di primo grado emessa a Palermo, ha definito ridicola la condanna. “In nessun Paese è reato dire a qualcuno ‘Tu hai il telefono sotto controllo’. Ma stiamo scherzando?”. Ma è scemo?
Altro capitolo della saga nazional-politica. Dopo l’orazione di Clemente Mastella in Senato “Mi dimetto per… mi dimetto per.. mi dimetto per… mi dimetto per… mi dimetto per… mi dimetto per amore”, scende in campo anche il suo partito, l’Udeur. Il capogruppo alla Camera, Mauro Fabris, ha avvertito: “Se lunedì la maggioranza non vota una mozione di totale condivisione di quanto ha detto il Ministro in aula, una formula del tipo ‘ascoltata la relazione del governo, si approva…’, allora non c’è più una maggioranza, non solo dal punto di vista numerico ma politico, e i nostri voti non si contano più’. Prima di uscire dalla porta girevole, mercoledì scorso l’ex ministro di grazia e giustizia, Clemente, appunto, ha infatti depositato alle Camere una relazione sullo stato della giustizia. Un documento che si immagina distaccato e rigoroso sull’operato della magistratura. Brancaleone non resta solo, la sua armata lo segue. L’alone di ricatto, che qualche maligno potrebbe intravvedere nell’aut-aut dell’Udeur, è nulla in confronto ai gemiti che si sono levati dalla chiesa di Saint-Jean d’Étampes a la Brède, nei pressi di Bordeaux. Lì riposavano le spoglie del barone Luis Montesquieu, teorico del principio della separazione dei poteri alla base dello stato di diritto. Qui, nel Duemila italiano, è il momento della plebe e del folclore nigeriano condito con peperoncino calabrese.
A margine: intervistato dal Corriere della Sera, il 12 volte ministro Remo Gaspari ha ricordato la politica di scambio di servizi e non di potere della “sua” Democrazia Cristiana. Gaspari, che ha dato lavoro a non meno di 200.000 abruzzesi, ha ricordato che vive a Gissi nella casa del padre ed a Roma in quella del suocero. Altri, a Ceppaloni, pur avendo fatto occupare al massimo qualche migliaio di poltrone, stanno in villa. Sic transeat elegantia mundi. O, meglio, elegantia raccomandationis.
Ultima nota, seguendo il filo delle mie opinioni. Sempre sul Corriere di oggi, 19 gennaio 2008, si legge il racconto di un giovane geologo napoletano, Vittorio Emanuele Iervolino che, a dispetto del cognome, non gode di appoggi. E’ costretto a fare quattro lavori per guadagnare circa 700 euro al mese. Due anni fa, nonostante i complimenti della commissione giudicatrice, giunse ottavo su sei posti al concorso per l’Autorità di bacino del Sele. Secondo le indagini, sarebbe stato scavalcato dai candidati segnalati da Carlo Camilleri, consuocero di Clemente Mastella.
A chi la colpa di un eventuale crollo fisico di questo ragazzo e delle annesse conseguenze (sia mai, ovviamente, che possa godersi quanto prima tutte le soddisfazioni che merita)? Tanti anni fa, in Abruzzo, un giovane aspirante giornalista morì in un incidente automobilistico, tornando a casa dopo uno dei massacranti turni di lavoro a cui deve sottoporsi chi desidera diventare redattore senza le conoscenze giuste. In quello stesso momento, qualche raccomandato firmava il suo bell’articolo con la qualifica di professionista assunto a tempo indeterminato, magari esaltando le gesta del suo benefattore o ringraziandolo per l’ennesimo favore: “Grazie, mister x!”. Chissà se chi siede su una poltona poco cristallina si chiede mai chi ha pagato il prezzo dei suoi privilegi… Eh sì, è il solito discorso che torna: chi paga?
Scemo chi elegge.
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Forse non rientra nella “sintassi” del buon autore di blog, ma lo faccio ugualmente: riporto il commento di uno dei rarissimi lettori di Opinioni perché, oltre ad essere limpido nella forma, è denso nei contenuti. Sono testimonianze come questa che ci fanno sentire meno soli, stemperano un po’ l’indignazione per quel che accade, danno la spinta a non farsi sopraffare dai circensi senza talento che affollano i nostri giorni. Grazie all’autore del commento per l’attenzione e grazie a C. che ha segnalato il mio post.
Caro Blogger, scrivo il mio commento dalla Sicilia dove risiedo praticamente dalla nascita. In questi giorni anch’io sono stato particolarmente attento alla vicenda Cuffaro (e non solo) e, com’è noto, fino a ieri, prima della sentenza, il “nostro” aveva confermato la propria volontà di dimettersi se fosse stato riconosciuto colluso con “Cosa nostra”. Personalmente non ho mai creduto a questa storiella e, puntualmente, è venuto fuori questo strano distinguo: aver agevolato singoli mafiosi non equivale ad agevolare l’organizzazione.
Bizantinismi di questo tipo sono l’essenza della politica siciliana, ma forse anche di quella italiana.
Che dovrei fare come siciliano? dovrei tirare un sospiro di sollievo perché il buon Totò rimarrà al suo posto per risolvere con indefessa dedizione i problemi dei siciliani (dunque anche i miei) o dovrei deprimermi perché per l’ennesima volta la gente di Sicilia dimostra di non capire che una politica avulsa dalla morale ottiene l’esatto contrario di ciò che dovrebbe prefiggersi?
Nessuna delle due cose. Resto dell’idea che la democrazia ha in sé gli anticorpi per liberarci da queste sconcezze e continuo la mia personale battaglia (insieme ad altri siciliani di buona volontà) perché si diventi consapevoli della necessità di partecipazione più attiva di tutti alla vita politica. In fondo la cosa pubblica meriterebbe almeno l’attenzione che riserviamo alle questioni del nostro condominio, non crede?